Al fine di armonizzare i metodi di raccolta, trattamento e diffusione dei dati relativi alle locazioni brevi e
turistiche, l’Unione europea ha di recente proposto un nuovo Regolamento che, nelle sue intenzioni, dovrà
modificare quello del 2018 (Regolamento Ue 2018/1724). Lo scopo è senz’altro quello di dotarsi di regole
comuni e far sì che non vi siano difformità da paese a paese. Che, a seconda dei casi, possono comportare
aggravi di adempimenti burocratici, ma anche spazi per l’evasione fiscale.
I contenuti del testo con il nuovo Regolamento, quindi, la Unione europea intende uniformare le modalità di registrazione dei locatori e delle loro unità immobiliari destinate al mercato degli affitti brevi e turistici, mediante un sistema di registrazione nazionale che consenta di ottenere uno specifico numero unico di registrazione. 

Da li in poi toccherà (o dovrebbe) alle piattaforme online condividere con le pubbliche autorità i dati concernenti i pernottamenti e i dati dei conduttori – di base almeno una volta al mese – il tutto in modalità automatica e con assegnazione di un ulteriore numero (di registrazione) per ogni posizione.
La proposta di Airbnb come in tutte le proposte di riforma, però, anche in questo caso c’è chi «alza barricate» – a prescindere che ciò abbia senso o utilità – e chi, invece, invoca maggiori previsioni di adempimenti da adottare (in questo caso maggiori restrizioni, che sarebbero una pura follia e dopo vedremo perché). Fra le molte osservazioni – spesso anche decisamente fuori luogo e sopra le righe – di un certo interesse appare la posizione assunta da uno dei più famosi portali, Airbnb, che ha chiesto che la Commissione Ue adotti meccanismi che portino a una maggiore integrazione, con lo scopo di arrivare alla creazione di un unico punto di accesso a livello comunitario, così da agevolare e semplificare la raccolta e la condivisione dei dati. E la cosa appare assolutamente logica e utile. 

A questo punto, per meglio inquadrare il contesto in cui si inseriscono, sia a livello comunitario come nazionale, questi contratti, appare utile qualche considerazione di «politica
generale» sul settore delle locazioni brevi e turistiche.
L’ambito di intervento del nuovo Regolamento Ue 
L’affitto a breve termine di alloggi per far fronte a necessità sia turistiche che, sempre più dopo il Covid, per
lavoro, sono state individuate – dalla Ue – come un comparto ormai preponderante e irrinunciabile del
settore, al punto da arrivare a rappresentare, secondo stime europee, almeno un quarto del totale di
alloggi offerti per finalità turistiche o, comunque, brevi. 

Un vero e proprio boom al quale hanno contribuito, in modo forse determinante, i portali e le piattaforme online, al punto da identificare in molti casi questo tipo di locazioni con il nome di uno dei più famosi, forse il più famoso, portale. Tutto ciò ha portato -in molti Paesi, Italia inclusa – a un proliferare di norme e regolamenti, sia a livello nazionale che locale, con lo scopo da un lato di garantire una certa trasparenza sugli immobili affittati per mezzo delle piattaforme, dall’altro al fine di combattere l’evasione fiscale, purtroppo arrivata, in questo settore, a livelli a volte inimmaginabili.

È innegabile, però, che l’aumento di norme e di adempimenti burocratici comporti quasi sempre un
aggravio sia a carico delle stesse piattaforme che dei proprietari privati che a esse si rivolgono per accedere
al mercato degli affitti brevi. 

E se ciò vale per i portali nazionali, figuriamoci per quelli che operano a livello mondiale.

La complessità della situazione

Va detto, però, a onestà di un dibattito serio e scevro da propaganda politica, che anche per le pubbliche
autorità le cose non sono semplici. Infatti, sono sempre più quelle che incontrano grandi difficoltà
nell’ottenere sia i dati in quanto tali, sia avere la garanzia che questi siano affidabili e corretti, perché
diversamente si creerebbero diversi disservizi e difficoltà anche previsionali in ordine a un comparto che
richiede, a vario titolo, non pochi «servizi pubblici e privati» collaterali. Va detto, a onor del vero e come
correttamente ha rilevato il nostro ministero del Turismo, che anche le difficoltà in capo alle pubbliche
autorità di molti Paesi non sono poche, sia a causa di sistemi di registrazione adottati che non sempre sono
efficienti (quando non divergono l’uno dall’altro anche in modo rilevante), che di un complessivo quadro
normativo che in molti casi è carente se non del tutto assente. Tutto ciò da un lato complica «la vita» delle
piattaforme e dei proprietari, dall’altro aumenta la scarsa trasparenza sulle reali transazioni nel comparto. E
si sa, dalla scarsa trasparenza all’evasione fiscale (e, magari, al riciclaggio) il passo può essere molto breve.
Il «caso Portogallo»
Il Portogallo sta vivendo (ma a essere sinceri non solo lui) un periodo di difficoltà sul piano del reperimento
di alloggi per scopi residenziali diciamo «tradizionali». Una carenza che sta spingendo il Governo ad affittare
sul mercato privato un certo numero di alloggi – per almeno un quinquennio da mettere poi sul mercato a
uso delle famiglie (e non necessariamente tutte appartenenti a fasce di disagio). Sono forse finite le case in
affitto in Portogallo? No. E infatti, se si guarda, ad esempio, a Lisbona, si scopre che le case sfitte
decisamente non mancano, sono i canoni «accessibili», invece, a essere quasi del tutto scomparsi. Infatti, a
fronte di un Paese che vede aumentare sempre più il numero di persone e famiglie che faticano ad arrivare
a fine mese (o che, semplicemente, devono essere attente alle proprie spese), si assiste a una vera e
propria «bolla» degli affitti. Tutto ciò – secondo il Governo Costa – a causa dell’eccessivo numero di alloggi
immessi sul mercato degli affitti brevi che, avendo una redditività complessiva maggiore, stanno
comportando una forte riduzione del numero di alloggi liberi da destinare ad affitti tradizionali. E si sa,
quando l’offerta cala, i prezzi salgono e se, come nella capitale, si assiste a un aumento complessivo intorno
al 35-37% del prezzo degli affitti (situazione aggravata dall’incremento del tasso di inflazione che, in
Portogallo, ha raggiunto e superato l’8%), diventa chiaro che si tratta di un problema sociale che, se non
gestito correttamente, potrebbe anche sfociare in un problema di ordine pubblico. La soluzione pensata
non sarà magari la migliore, ma il Governo portoghese ritiene (a torto o a ragione) che da un lato vadano
limitate le licenze per alloggi ad uso turistico nelle città (mentre non dovrebbero esserci problemi nelle aree
rurali meno popolate), dall’altro vada posto un limite al cosiddetto «baratto della Golden Visa», cioè della
norma che prevede il rilascio del passaporto (che è europeo non dimentichiamolo) a cittadini
extracomunitari in cambio di investimenti nel settore immobiliare. Una norma – per molti – di dubbia
legittimità sul piano dei rapporti comunitari, che appare complessa da adottare, ma che il Governo è
seriamente intenzionato ad applicare (anche, nel caso, contro le decisioni della Ue). Forse non sarà né la
migliore né l’unica delle soluzioni, ma da lì probabilmente vogliono partire a fare qualcosa di concreto.
Il «caso Italia»
Il nostro Paese si trova in una strana situazione, perché da un lato il nostro sistema di raccolta e diffusione
dei dati appare essere decisamente in linea con la nuova proposta Ue, dall’altro abbiamo un quadro
normativo quanto mai disomogeneo, carente e confuso. A parte un «passaggio fugace» nella legge 431/98
e nel successivo Dm 1/2017 che ha recepito l’Accordo nazionale sindacale del 25 ottobre 2016 (da cui
hanno poi tratto spunto gli Accordi sindacali in sede locale), in Italia non esiste una vera e propria norma di
legge (dal punto di vista civilistico) sulle locazioni brevi. L’unica vera norma – peraltro avente finalità
esclusivamente fiscale – è quella introdotta dal Decreto legge 50/2017 (convertito nella legge 96/2017) che
ha introdotto, appunto, una specifica disciplina fiscale da applicare ai canoni di questo tipo di contratto e
che ha previsto altresì specifici compiti di comunicazione dei dati (oltre a introdurre la figura del sostituto

d’imposta in capo agli intermediari per la raccolta delle relative imposte). L’articolo 4 del Decreto considera
locazioni brevi i contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi
inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali,
stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti
che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici,
mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da
locare. Quindi, una norma a valenza prettamente fiscale che colma – come purtroppo spesso accade – un
vuoto legislativo. Se a ciò si aggiunge il caos dei vari Regolamenti amministrativi regionali e locali, ecco che
si comprende come mai il sistema sfugge a molti controlli e favorisce, in molti casi, l’evasione fiscale (non
solo in Italia peraltro).
La proposta di Confabitare
Durante l’audizione avanti la quarta Commissione del Senato dello scorso 9 marzo 2023, presieduta dal
senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, abbiamo svolto una serie di considerazioni e proposte che, questo è il
nostro auspicio, dovrebbero essere poste a base sia di ogni discussione comunitaria, che di una revisione
del nostro sistema legislativo. Ecco, in sintesi, le nostre ipotesi:
1)qualsiasi normativa – nazionale o comunitaria che sia – deve essere sempre rivolta ad aiutare i proprietari
corretti e rispettosi delle norme di legge, senza aggravarli di oneri fiscali e burocratici che potrebbero
compromettere o, comunque, limitare un comparto fondamentale per l’economia del nostro Paese;
2)nel valutare il nuovo Regolamento si abbia sempre come «punto di riferimento» lo Statuto del
contribuente e la tutela dei dati personali nel pieno e rigoroso rispetto delle norme previste dal Gdpr;
3) si chiede la convocazione di un «Tavolo nazionale di concertazione» delle associazioni maggiormente
rappresentative a livello nazionale della proprietà e dell’inquilinato, al fine di valutare la possibilità di
adottare comuni linee guida di riforma del settore;
4) si ritiene opportuno prevedere al più presto la revisione dell’accordo nazionale intersindacale del 25
ottobre 2016, allargato al comparto turismo, al fine di provare a uniformare – dal punto di vista civilistico –
la disciplina delle locazioni brevi e turistiche all’interno della normativa civilistica. Confabitare ha dato la
propria disponibilità a collaborare a tutti i livelli istituzionali per poter giungere a un sistema uniforme di
quello che è uno dei più importanti (se non, forse, il più importante) settore economico del nostro Paese.
Disponibilità tutt’altro che formale dato che da subito ci siamo attivati per predisporre un documento
programmatico da sottoporre a tutti gli interlocutori interessati al tema.

Si ringrazia: Luca Capodiferro – Presidente centro studi giuridico Confabitare